domenica 2 dicembre 2012

Canto III - Parafrasi

Sebbene l'improvvisa fuga sparpagliasse quelle anime per la pianura, verso il monte dove la giustizia divina ci tormenta (per purificarci), io mi accostai alla fedele compagnia: e come avrei potuto allontanarmi senza di lui? chi mi avrebbe guidato su per il monte? Egli mi sembrava tormentato dalla sua stessa coscienza: o spirito retto e puro, come un piccolo errore è per te causa di crudele dolore! Quando i passi di Virgilio non procedettero più con la fretta. che toglie decoro ad ogni azione, la mia mente, che prima era raccolta (in un solo pensiero), allargò la sua attenzione, come desiderosa di altre cose, e alzai gli occhi in direzione del monte che più alto (di tutti gli altri) si erge dalle acque verso il cielo. Il sole, che rosso ardeva alle nostre spalle, era interrotto davanti al mio corpo, che faceva da impedimento ai suoi raggi. Mi girai di fianco temendo d'essere abbandonato, quando scorsi che la terra era scura solo davanti a me; e Virgilio: « Perché dubiti ancora ?» prese a dirmi volgendosi interamente verso di me: «non credi che io sia, con te e che ti guidi? E' già l'ora del vespro là dove è sepolto il mio corpo col quale facevo ombra: si trova a Napoli, e fu trasportato da Brindisi. Adesso, se davanti a me non si forma alcuna ombra, ciò non deve stupirti più del fatto che i cieli non impediscono che i raggi passino dall'uno all'altro. Per sopportare pene, caldo e freddo, Dio onnipotente crea tali corpi, ma come faccia ciò, non vuole che sia rivelato agli uomini. Stolto è colui il quale spera che la ragione umana possa percorrere la via infinita che Dio, uno nella sostanza e trino nelle persone, segue. Limitatevi a considerare, o uomini, le cose come sono: giacché se aveste potuto capire tutte le cose, non sarebbe stato necessario che Maria partorisse; e vedeste bramare invano uomini siffatti che (meglio di altri) avrebbero potuto soddisfare (se fosse stato possibile con la sola ragione umana) la loro ansia di conoscenza, mentre invece (tale desiderio) è motivo per loro di pena etema: parlo di Aristotile e di Platone e di molti altri ». E qui chinò il capo, e non aggiunse parola, e ristette turbato. Giungemmo frattanto alla base del monte: qui trovammo la roccia talmente ripida, che invano le gambe lì sarebbero volonterose di salire. Tra Lerici (un castello sulla riviera ligure, alla foce del fiume Magra) e Turbia (un borgo nizzardo) la roccia più inaccessibile e impraticabile è, al confronto di quella, una scala comoda e ampia. « Adesso chissà da quale parte la costa è meno ripida » disse, il mio maestro arrestandosi, « in modo da consentire la salita anche a chi non ha ali? » E mentre egli, con gli occhi rivolti a terra, rifletteva sul cammino da tenere, e io guardavo in alto tutt’intorno alla roccia, da sinistra vidi comparire una schiera di anime, che procedevano verso dì noi, e quasi non sembrava che ciò avvenisse, tanto lentamente si avvicinavano. « Alza, o maestro », dissi, « il tuo sguardo: ecco da questa parte chi ci darà consiglio, se tu non riesci a trovarlo in te stesso. » Allora guardò, e con viso rasserenato, rispose: « Avviciniamoci a loro, poiché essi avanzano lentamente; e tu, figlio caro, rafforza la tua speranza ». Quella schiera era ancora così lontana, dico dopo aver noi fatto un migliaio di passi, quanta può essere la distanza cui un buon lanciatore scaglierebbe una pietra, quando tutti si addossarono alle dure rocce dell'alta costa, e stettero fermi e raccolti come, chi va, si ferma a guardare quando è colto da un dubbio. « O voi che siete morti in grazia di Dio, o spiriti già destinati alla salvezza eterna », prese a dire Virgilio, « in nome di quella pace che io credo sia attesa da voi tutti, diteci in qual punto la montagna è più agevole, sì da poterla salire, perché perder tempo dispiace a chi ne conosce il valore. » Come le pecore escono dal recinto da sole, o a gruppi di due e di tre, e le altre sostano timide abbassando il muso e lo sguardo, e quello che fa la prima, fanno anche le altre, raggruppandosi dietro a lei, se si ferma, obbedienti e mansuete, senza conoscerne il motivo, così io vidi allora avvicinarsi le prime anime di quella felice moltitudine, umile nei volti e dignitosa nel procedere, Non appena quelle anime videro in terra, alla mia destra, la luce interrotta, poiché la mia ombra stava fra me e la roccia, si arrestarono, e indietreggiarono un poco, e tutte le altre che venivano dietro, pur non conoscendone il motivo, fecero altrettanto. « Senza attendere che voi me lo domandiate, vi dichiaro che questo che voi vedete è un corpo umano, per questo la luce del sole è, in terra, interrotta. Non stupitevi; ma credete che non è senza l'aiuto del cielo che io cerco di superare questa roccia. » Così parlò Virgilio; e quegli spiriti eletti. «Tornate indietro e camminate dunque davanti a noi», dissero, facendoci segno col dorso delle mani. E uno di loro prese a dire: « Chiunque tu sia, mentre cammini volgi gli occhi: cerca di ricordare se in terra tu mi abbia mai veduto ». Io mi girai verso di lui e lo guardai attentamente: era biondo, bello e di nobile aspetto, ma aveva un sopracciglio diviso in due da una ferita. Quand'ebbi con cortesia negato d'averlo mai conosciuto, egli dìsse: « Adesso guarda»; e mi mostrò una ferita vicino al cuore. Poi aggiunse sorridendo: « Sono Manfredi, nipote dell'imperatrice Costanza; perciò ti prego, quando ritornerai in terra, di andare dalla mia bella figlia, madre di coloro che sono i sovrani di Sicilia e d'Aragona, per dirle la verità su di me, se si raccontano altre cose. Quand'ebbi il corpo trafitto da due colpi mortali, io mi rivolsi, piangendo (per il pentimento dei peccati), a Colui che è sempre pronto a concedere il suo perdono. I miei peccati furono orribili; ma la infinita misericordia ha braccia tanto ampie da accogliere tutti coloro che a Lei si rivolgono. Se il vescovo di Cosenza, che da papa Clemente fu indotto allora a perseguitarmi, avesse potuto penetrare questo aspetto di Dio, le mie ossa sarebbero ancora in capo a un ponte vicìno a Benevento, custodite da un mucchio di pietre. Adesso la pioggia le bagna e il vento le agita; fuori del regno (di Napoli e di Sicilia), quasi sul Garigliano, dove egli le trasportò a ceri spenti (come si usava per i cadaveri degli scomunicati e degli eretici). In seguito alle loro scomuniche (maladizion: la scomunica infatti non comporta di necessità la dannazione spirituale) la grazia di Dio non si perde a tal punto che non si possa recuperare, finché la speranza non è del tutto inaridita. Tuttavia chi muore scomunicato, anche se si pente in punto di morte, deve restare fuori di questo monte, per un periodo di tempo trenta volte più lungo di quello che da vivo ha nella sua ostinazione orgogliosa, a meno che tale decreto non venga abbreviato dalle preghiere dei buoni. Vedi dunque se puoi farmi contento, rivelando, ala mia buona Costanza dove e in che modo mi hai visto, e anche questo divieto, poiché noi molto progrediamo nella purificazione grazie, ai suffragi dei vivi ».

lunedì 12 novembre 2012

Canto III - Ai Piedi del Monte Purgatorio: Manfredi

  Avvegna che la subitana fuga
dispergesse color per la campagna,
rivolti al monte ove ragion ne fruga,

  i' mi ristrinsi a la fida compagna:
e come sare' io sanza lui corso?
chi m'avria tratto su per la montagna?

  El mi parea da sé stesso rimorso:
o dignitosa coscienza e netta,
come t'è picciol fallo amaro morso!

  Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
che l'onestade ad ogn'atto dismaga,
la mente mia, che prima era ristretta,

  lo 'ntento rallargò, sì come vaga,
e diedi 'l viso mio incontr'al poggio
che 'nverso 'l ciel più alto si dislaga.

  Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
rotto m'era dinanzi a la figura,
ch'avea in me de' suoi raggi l'appoggio.

  Io mi volsi dallato con paura
d'essere abbandonato, quand'io vidi
solo dinanzi a me la terra oscura;

  e 'l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
a dir mi cominciò tutto rivolto;
«non credi tu me teco e ch'io ti guidi?

  Vespero è già colà dov'è sepolto
lo corpo dentro al quale io facea ombra:
Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto.

  Ora, se innanzi a me nulla s'aombra,
non ti maravigliar più che d'i cieli
che l'uno a l'altro raggio non ingombra.

  A sofferir tormenti, caldi e geli
simili corpi la Virtù dispone
che, come fa, non vuol ch'a noi si sveli.

  Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.

  State contenti, umana gente, al quia;
ché se potuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria;

  e disiar vedeste sanza frutto
tai che sarebbe lor disio quetato,
ch'etternalmente è dato lor per lutto:

  io dico d'Aristotile e di Plato
e di molt'altri»; e qui chinò la fronte,
e più non disse, e rimase turbato.

  Noi divenimmo intanto a piè del monte;
quivi trovammo la roccia sì erta,
che 'ndarno vi sarien le gambe pronte.

  Tra Lerice e Turbìa la più diserta,
la più rotta ruina è una scala,
verso di quella, agevole e aperta.

  «Or chi sa da qual man la costa cala»,
disse 'l maestro mio fermando 'l passo,
«sì che possa salir chi va sanz'ala?».

  E mentre ch'e' tenendo 'l viso basso
essaminava del cammin la mente,
e io mirava suso intorno al sasso,

  da man sinistra m'apparì una gente
d'anime, che movieno i piè ver' noi,
e non pareva, sì venian lente.

  «Leva», diss'io, «maestro, li occhi tuoi:
ecco di qua chi ne darà consiglio,
se tu da te medesmo aver nol puoi».

  Guardò allora, e con libero piglio
rispuose: «Andiamo in là, ch'ei vegnon piano;
e tu ferma la spene, dolce figlio».

  Ancora era quel popol di lontano,
i' dico dopo i nostri mille passi,
quanto un buon gittator trarria con mano,

  quando si strinser tutti ai duri massi
de l'alta ripa, e stetter fermi e stretti
com'a guardar, chi va dubbiando, stassi.

  «O ben finiti, o già spiriti eletti»,
Virgilio incominciò, «per quella pace
ch'i' credo che per voi tutti s'aspetti,

  ditene dove la montagna giace
sì che possibil sia l'andare in suso;
ché perder tempo a chi più sa più spiace».

  Come le pecorelle escon del chiuso
a una, a due, a tre, e l'altre stanno
timidette atterrando l'occhio e 'l muso;

  e ciò che fa la prima, e l'altre fanno,
addossandosi a lei, s'ella s'arresta,
semplici e quete, e lo 'mperché non sanno;

  sì vid'io muovere a venir la testa
di quella mandra fortunata allotta,
pudica in faccia e ne l'andare onesta.

  Come color dinanzi vider rotta
la luce in terra dal mio destro canto,
sì che l'ombra era da me a la grotta,

  restaro, e trasser sé in dietro alquanto,
e tutti li altri che venieno appresso,
non sappiendo 'l perché, fenno altrettanto.

  «Sanza vostra domanda io vi confesso
che questo è corpo uman che voi vedete;
per che 'l lume del sole in terra è fesso.

  Non vi maravigliate, ma credete
che non sanza virtù che da ciel vegna
cerchi di soverchiar questa parete».

  Così 'l maestro; e quella gente degna
«Tornate», disse, «intrate innanzi dunque»,
coi dossi de le man faccendo insegna.

  E un di loro incominciò: «Chiunque
tu se', così andando, volgi 'l viso:
pon mente se di là mi vedesti unque».

  Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.

  Quand'io mi fui umilmente disdetto
d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
e mostrommi una piaga a sommo 'l petto.

  Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond'io ti priego che, quando tu riedi,

  vadi a mia bella figlia, genitrice
de l'onor di Cicilia e d'Aragona,
e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.

  Poscia ch'io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona.

  Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.

  Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia
di me fu messo per Clemente allora,
avesse in Dio ben letta questa faccia,

  l'ossa del corpo mio sarieno ancora
in co del ponte presso a Benevento,
sotto la guardia de la grave mora.

  Or le bagna la pioggia e move il vento
di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde,
dov'e' le trasmutò a lume spento.

  Per lor maladizion sì non si perde,
che non possa tornar, l'etterno amore,
mentre che la speranza ha fior del verde.

  Vero è che quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta,
star li convien da questa ripa in fore,

  per ognun tempo ch'elli è stato, trenta,
in sua presunzion, se tal decreto
più corto per buon prieghi non diventa.

  Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,
revelando a la mia buona Costanza
come m'hai visto, e anco esto divieto;

  ché qui per quei di là molto s'avanza».

Canto II - Parafrasi

Il sole aveva già toccato l'orizzonte il cui cerchio meridiano sovrasta col suo punto più alto (lo zenit) Gerusalemme; 
 e la notte, che ruota intorno alla terra agli antipodi del sole, sorgeva dal Gange, nella costellazione della Libra (con le Bilance: durante l'equinozio di primavera, quando il sole è nella costellazione dell'Ariete), che le cade di mano quando (dopo l'equinozio d'autunno: il sole entra allora nella Libra) supera la durata del giorno (entrando nella costellazione dello Scorpione);
 in modo che nel purgatorio le gote, prima bianche, poi rosse, della leggiadra Aurora col passare del tempo divenivano gialle. Ci trovavamo ancora lungo la riva del mare, come coloro che meditano sul cammino da percorrere, i quali con l'animo camminano e col corpo stanno fermi. Ed ecco, allo stesso modo in cui mentre si abbassa, tramontando, sulla superficie del mare, il pianeta Marte colora di rosso all'avvicinarsi del mattino, a causa dei densi vapori che lo avvolgono, si palesó ai miei occhi, e tale possa io vederla, nuovamente (allorché, morto, mi troverò ancora una volta sul lido del purgatorio), una luce (il volto dell'angelo nocchiero) avanzante sul mare con tanta celerità, che nessun volo uguaglia il suo movimento. Dopo avere per poco distolto lo sguardo da essa per chiedere schiarimenti a Virgilio, la rividi divenuta più luminosa e più grande. Poi mi apparve ai due lati di essa un bianco di cui non riuscivo a precisare la forma, e sotto, questo bianco (sono le ali dell'angelo) un altro bianco si rese gradatamente manifesto (è la veste dell'angelo). Virgilio si trattenne dal parlare, finché i bianchi apparsi ai lati della luce rosseggiante apparvero essere ali: ma nel momento in cui fu certo di riconoscere il nocchiero, gridò: « Fa in modo di inginocchiarti: ecco l'angelo di Dio: congiungi le mani: da ora in poi vedrai simili ministri di Dio. Vedi che non si serve di strumenti umani, in modo da rifiutare i remi e le vele che non siano le sue ali per percorrere il tragitto tra spiagge così lontane (dalla foce del Tevere, come sarà spiegato nei versi 100-105, al lido del purgatorio). Vedi come le tiene alte verso il cielo, penetrando nell'aria con le penne eterne, le quali non sono sottoposte al cambiamento che il pelo (o le penne) degli esseri destinati a morire subisce ». Poi, nell'avvicinarsi a noi, il santo uccello appariva sempre più luminoso, per cui, da vicino, lo sguardo non ne sostenne lo splendore, ma fui costretto ad abbassarlo; e quello approdò con una navicella rapida e priva di peso, tanto che di essa l'acqua non sommergeva alcuna parte. Il celeste nocchiero stava a poppa, tale che sembrava portare scritta in tutto il suo aspetto la beatitudine; e più di cento anime sedevano nella navicella. Tutti insieme, concordi, cantavano « Quando uscì Israele dall'Egitto » (è l'inizio del Salrno CXIII) con quello che, in quel salmo, segue. Poi fece, rivolto a loro, il segno della santa croce; essi allora si precipitarono tutti sul lido: ed egli se ne andò con la stessa velocità con la quale era venuto. La moltitudine rìmasta sulla riva sembrava ignara del luogo, e guardava intorno come colui che sperimenta cose nuove. Il sole, che aveva messo in fuga con le sue frecce precise (saette conte: presso gli antichi, Apollo, dio dei sole, era arciere infallibile) dal punto più alto del cielo la costellazione dei Capricorno (che, distando 90 gradi da quella dell'Ariete, si trovava allo zenit del meridiano mentre il sole stava sorgendo), scagliava la sua luce in tutte le direzioni, allorché la gente allora arrivata sollevò lo sguardo verso di noi, dicendoci: « Se la conoscete, indicateci la via per raggiungere il monte (del purgatorio) ». E Virgilio rispose: «Voi immaginate forse che conosciamo questo luogo; ma noi siamo forestieri al pari dì voi. Siamo giunti poco prima di voi, attraverso un altro cammino, il quale fu così arduo da percorrere e duro, che la ascesa del monte ci sembrerà da ora innanzi cosa piacevole». Le anime che 'si resero conto, per il fatto che respiravo, che ero ancora in vita, impallidirono per lo stupore. E come la gente accorre verso un messaggero apportatore di liete notizie per esserne messa a conoscenza, e nessuno rifugge dal far ressa intorno a lui, così tutte quante quelle anime fortunate fissarono il loro sguardo su di me, quasi dimenticando di andare a purificarsi dei loro peccati. Io vidi una di esse uscire dalla schiera per abbracciarmi, con affetto così grande, che mi indusse a fare altrettanto. O ombre inconsistenti, tranne che nell'appírenza! Tre volte congiunsi le mani circondandola, e altrettante volte tornai con esse al mio petto. Nel mio aspetto, credo, si manifestò lo stupore; per questo l'anima sorrise e si trasse indietro, ed io, seguendola, mi spinsi avanti. Con dolcezza mi esortò a fermarmi: riconobbi allora chi era, e la pregai di fermarsi un poco per parlare con me. Mi rispose: « Così come ti volli bene mentre era chiusa nel corpo destinato a morire, così ti voglio bene ora che dal corpo sono libera: perciò mi fermo; ma tu perché percorri (essendo vivo) questo cammino ? » « Casella mio, percorro questo itinerario per essere degno di tornare un'altra volta (dopo la morte) nel punto in cui adesso mi trovo» dissi; « ma perché tanto tempo è stato sottratto alla tua espiazione (perché, essendo morto da tempo, giungi soltanto adesso alla spiaggia del purgatorio) ? Ed egli: « Non mi viene fatto nessun torto, se colui (l'angelo nocchiero) che imbarca le anime che ritiene giusto imbarcare, e lo fa nel Momento da lui ritenuto giusto, mi ha più volte negato questo tragitto, poiché la sua volontà procede da una volontà giusta (quella di Dio): tuttavia da tre mesi a questa parte (cioè dalla promulgazione del giubileo ad opera di Bonifacio VIII, avvenuta nel Natale 1299, alla cui indulgenza poterono partecipare anche le anime in attesa di essere traghettate nell'isola del purgatorio) egli ha imbarcato chiunque ha voluto entrare (nella navicella), senza fare opposizione. Perciò io, che allora volgevo lo sguardo al mare nel quale l'acqua del Tevere (che in esso sfocia) diventa salina, fui da lui benevolmente accolto (nella navicella). Ora egli ha alzato le ali verso quella foce, poiché là si raccolgono sempre tutte le anime non destínate all'inferno». Ed io: « Se una prescrizione propria del purgatorio non ti priva del ricordo dei canti d'amore che solevano placare tutte le mie inquietudini, o della facoltà di intonarli, voglia tu in tal modo confortare un poco la mia anima, la quale, insieme al mio corpo, è tanto stanca per il cammino sin qui percorso (attraverso l'inferno)! » « Amor che ne la mente mi ragiona » cominciò egli allora a cantare così dolcemente, che la dolcezza di questo canto echeggia ancora nel mio animo. Virgilio e io e le anime che erano insieme con lui apparivamo così felici, come se a nessuno di noi un altro pensiero occupasse la mente. Noi tenevamo tutti lo sguardo fisso su di lui e la nostra attenzione era interamente rivolta al suo canto; ed ecco apparire il venerando vecchio (Catone), il quale gridò: « Cosa significa questo, anime pigre ? Che senso ha questa negligenza, questo indugio? Affrettatevi verso il monte per liberarvi della scorza peccaminosa che non consente che Dio vi appaia ». Con la stessa rapidità con la quale i colombi, adunati per il pasto, tranquilli, senza ostentare la solita baldanza (a causa della quale, impettiti, gonfiano il collo), mentre sono intenti a beccare la biada o il loglio, se appare alcunché di cui abbiano timore, all'improvviso si distolgono dal cibo, perché sono sotto l'assillo di una preoccupazione più grande, vidi quella schiera da poco arrivata distogliere l'attenzione dal canto (di Casella), ed avviarsi verso il pendio (del monte), come chi si avvia senza sapere dove vada a finire né la nostra partenza fu meno veloce.

Canto II - Riassunto

Il Tempo:
circa le sei del mattino del 10 Aprile (domenica di Pasqua) del 1300.

Il Luogo:
la spiaggia nell'Antipurgatorio

I Personaggi:
Dante insieme a Virgilio incontra le anime purganti sbarcate da una navicella guidata da un angelo e parla con un suo amico di gioventù, il musicista Casella.

In Sintesi:
L'aurora sorge sull'orizzonte del purgatorio mentre i due pellegrini sostano, pensosi ed incerti del cammino, lungo la riva del mare. All'improvviso appare lontano, sulle acque, una luce rosseggiante che si avvicina velocemente alla spiaggia: Virgilio riconosce l'angelo nocchiere del purgatorio ed esorta il discepolo ad inginocchiarsi in segno di omaggio. L'uccel divino giunge su una veloce navicella ché trasporta più di cento anime, le quali, ad una voce, cantano il salmo "In exitu Israel de Aegypto". Dopo averle benedette con il segno di croce, l'angelo riparte lasciando sulla spiaggia le anime, le quali chiedono consiglio a Dante e Virgilio sul cammino da intraprendere. Allorché si accorgono che Dante è vivo, grande è la loro meraviglia, finché una di esse, che aveva tentato di abbracciare il Poeta, viene da questo riconosciuta: è l'anima di Casella, un musico e cantore amico di Dante. Dopo avere spiegato ché le anime destinate al purgatorio si raccolgono alle foci del Tevere in attesa dell'angelo nocchiere, su preghiera dell'amico, che ricorda quanto fosse per lui rasserenante il suo canto, Casella intona una canzone del Convivio. Tutti ascoltano intenti, ma Catone li scuote, rimproverando questo indugio nell'espiazione dei loro peccati. Le anime e i due pellegrini si dirigono correndo verso il monte come colombi spaventati da un rumore improvviso.

Canto II - Introduzione

La lettura del canto secondo del Purgatorio deve essere condotta su un piano drammaturgico, il quale però rimandi costantemente, con la forza propria d'una rappresentazione morale, al piano spirituale di cui è simbolo visivamente esplicantesi. Le iniziali precisazioni astronomiche, preoccupate di rendere la situazione della luce e dell'ora; il lento avvicinarsi sull'orizzonte visivo del lume che prende via via forma fino ad assumere la limpida suggestione d'un primo piano; la presenza, sin dalla prima apparizione dell'angelo nocchiero, di un rapporto tra l'azione rappresentata e l'io del Poeta; le risonanze bibliche e la meditazione sulla condizione pellegrinante del cristiano, introdotte dall'inizio del salmo "In exitu Israel de Aegypto" ; l'intermezzo musicale che aduna un pubblico ed un coro attorno all'amico musico e cantore; il sovrapporsi della meditazione sull'amicizia alla meditazione sul mistero della vita come peregrinatio; l'intervento di Catone che disperde la cerchia animata dal canto per richiamare la preminenza e sollecitudine del fine supremo sulla precarietà del terrestre; il rompersi finale del pubblico e lo sciogliersi dell'azione, la cui resa visiva è affidata alla similitudine dei colombi: di drammaturgia si può parlare se si pensa allo svolgimento ritmico di questi quadri che si muovono con logica rapidità, rivelandola sapienza registica del Poeta. Nella ricchezza di movimento esteriore come significazione di una realtà spirituale il canto secondo è intimamente legato al primo, ma è soprattutto nella sua dimensione liturgica che costituisce il logico sviluppo dei due riti di purificazione officiati da Virgilio, attraverso i quali Dante è entrato nella "società delle anime". L'insistenza con cui il Poeta ritorna sul candore dell'uccel divino (m'apparìo un... bianco; i primi bianchi...; più chiaro appariva) non può non ricordarci che il bianco è il colore che predomina nella liturgia battesimale e in quella pasquale del giorno di Risurrezione, mentre il sacerdotale segno di croce, ieratìcamente solenne, dell'angelo, consacra il primo momento corale di tutto il Purgatorio e il primo incontro di Dante con l'umanità penitente. "Tutta la montagna del purgatorio ci appare come un'immensa basilica affollata di riti e risuonante dei canti e delle preghiere dei fedeli. In exitu Israel de Egipto è come l'introibo nel mondo dell'esaltazione della penitenza; è come l'antifona di un lungo ufficio divino, di cui gli angeli sono in certo senso gli officianti. "(Marti) In questa prospettiva liturgica, allorché termina il canto non può che iniziare un colloquio corale (se voi sapete, mostratene la via... voi credete forse che siamo esperti...), in cui si svela anche uno stato d'animo comunitario di umiltà e di smarrimento - di fronte al monte che nessuno ancora conosce. Le letture critiche di questo canto si sono accentrate o attorno alla ricerca d'una musicalità presente in tutto il canto ed espressa da Casella, oppure attorno alla meditazione sulla condizione di pellegrino del cristiano, significata dalle anime del vasello snelletto e leggiero e dal burbero intervento del veglio onesto. Il Ferrero e l'Albini seguirono ambedue la linea della ricerca musicale (la notazione del Boccaccio su un Dante che "sommamente si dilettò in suoni e canti nella sua giovinezza" e il famoso passo del Convivio [II, XIII, 24] nel quale si descrivono gli effetti della musica su un animo nobile, "musica trae a sé li spiriti umani... si che quasi cessano da ogni operazione" offrono l'occasione, se non altro, per un confronto fra l'ars nova della musica medievale e il contemporaneo stil novo), rilevando che la musicalità dei versi è, in questo canto, scandita dalla pittoricità delle apparizioni e dall'evanescenza un po' trasognata delle immagini e delle similitudini. Continuando su questa strada la Batard tenta addirittura una lettura delle immagini sul contrappunto di movenze musicali, affermando che anche l'effetto della sorpresa di Catone, che interviene a rompere la zona d'abbandono all'arte, è musicale: "l'intervento di Catone è anzitutto un elemento poetico: Catone fa il censore, ma, richiamando la similitudine dei colombi, fornisce il tema musicale del canto dell'amicizia". L'episodio di Casella, attraverso il motivo della solenne glorificazione dell'arte - nel rapimento della musica come mediatrice di spiritualità, costituisce un brano di autobiografia dantesca, secondo il Marti, nel quale il Poeta evoca nostalgicamente i miti culturali della lontana giovinezza, e lo sforzo amoroso e tenace con cui volle realizzarli in sé "all'epoca delle grandi speranze e delle grandi illusioni", in una Firenze "tanto politicamente vischiosa, quanto culturalmente aperta e luminosa". È questo un momento in cui chiara si avverte la dialettica fra Dante poeta e Dante personaggio, fra l'io poetico "che deve trascendere le limitazioni dell'individualità per conseguire un'esperienza di universale esperienza" e l'io empirico che è l'"occhio individuale necessario per percepire e fissare la materia d'esperienza"(Spitzer) : l'intervento di Catone restituisce a Dante la consapevolezza di sé, ché come uomo è in cammino verso la salvezza e come poeta agli altri si offre maestro di vita. Occorre perciò "correre al monte a spogliare lo scoglio". Del resto già prima di questo oblivioso abbandono la condizione di pellegrini era stata subito dichiarata dal Poeta: ma noi siam peregrin come voi siete. Se questa è la condizione umana, bisogna conservarsi come gente che pensa a suo cammino, e non sostare, adagiandosi nella contemplazione della realtà terrestre e nella meditazione dei valori umani. Per questo l'intervento di Catone è giustificato: "l'intransigenza - nota l'Apollonio - fa parte di ogni dignitoso e coerente esercizio ascetico, anche se contraddice quella aspirazione umanistica, cui Dante allude, della purificazione attraverso l'arte..."

Canto II - All'Aurora, sulla Spiaggia del Purgatorio: Casella

  Già era 'l sole a l'orizzonte giunto
lo cui meridian cerchio coverchia
Ierusalèm col suo più alto punto;

  e la notte, che opposita a lui cerchia,
uscia di Gange fuor con le Bilance,
che le caggion di man quando soverchia;

  sì che le bianche e le vermiglie guance,
là dov'i' era, de la bella Aurora
per troppa etate divenivan rance.

  Noi eravam lunghesso mare ancora,
come gente che pensa a suo cammino,
che va col cuore e col corpo dimora.

  Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
per li grossi vapor Marte rosseggia
giù nel ponente sovra 'l suol marino,

  cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia,
un lume per lo mar venir sì ratto,
che 'l muover suo nessun volar pareggia.

  Dal qual com'io un poco ebbi ritratto
l'occhio per domandar lo duca mio,
rividil più lucente e maggior fatto.

  Poi d'ogne lato ad esso m'appario
un non sapeva che bianco, e di sotto
a poco a poco un altro a lui uscio.

  Lo mio maestro ancor non facea motto,
mentre che i primi bianchi apparver ali;
allor che ben conobbe il galeotto,

  gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali.
Ecco l'angel di Dio: piega le mani;
omai vedrai di sì fatti officiali.

  Vedi che sdegna li argomenti umani,
sì che remo non vuol, né altro velo
che l'ali sue, tra liti sì lontani.

  Vedi come l'ha dritte verso 'l cielo,
trattando l'aere con l'etterne penne,
che non si mutan come mortal pelo».

  Poi, come più e più verso noi venne
l'uccel divino, più chiaro appariva:
per che l'occhio da presso nol sostenne,

  ma chinail giuso; e quei sen venne a riva
con un vasello snelletto e leggero,
tanto che l'acqua nulla ne 'nghiottiva.

  Da poppa stava il celestial nocchiero,
tal che faria beato pur descripto;
e più di cento spirti entro sediero.

  'In exitu Israel de Aegypto'
cantavan tutti insieme ad una voce
con quanto di quel salmo è poscia scripto.

  Poi fece il segno lor di santa croce;
ond'ei si gittar tutti in su la piaggia;
ed el sen gì, come venne, veloce.

  La turba che rimase lì, selvaggia
parea del loco, rimirando intorno
come colui che nove cose assaggia.

  Da tutte parti saettava il giorno
lo sol, ch'avea con le saette conte
di mezzo 'l ciel cacciato Capricorno,

  quando la nova gente alzò la fronte
ver' noi, dicendo a noi: «Se voi sapete,
mostratene la via di gire al monte».

  E Virgilio rispuose: «Voi credete
forse che siamo esperti d'esto loco;
ma noi siam peregrin come voi siete.

  Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
per altra via, che fu sì aspra e forte,
che lo salire omai ne parrà gioco».

  L'anime, che si fuor di me accorte,
per lo spirare, ch'i' era ancor vivo,
maravigliando diventaro smorte.

  E come a messagger che porta ulivo
tragge la gente per udir novelle,
e di calcar nessun si mostra schivo,

  così al viso mio s'affisar quelle
anime fortunate tutte quante,
quasi obliando d'ire a farsi belle.

  Io vidi una di lor trarresi avante
per abbracciarmi con sì grande affetto,
che mosse me a far lo somigliante.

  Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto!
tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto.

  Di maraviglia, credo, mi dipinsi;
per che l'ombra sorrise e si ritrasse,
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.

  Soavemente disse ch'io posasse;
allor conobbi chi era, e pregai
che, per parlarmi, un poco s'arrestasse.

  Rispuosemi: «Così com'io t'amai
nel mortal corpo, così t'amo sciolta:
però m'arresto; ma tu perché vai?».

  «Casella mio, per tornar altra volta
là dov'io son, fo io questo viaggio»,
diss'io; «ma a te com'è tanta ora tolta?».

  Ed elli a me: «Nessun m'è fatto oltraggio,
se quei che leva quando e cui li piace,
più volte m'ha negato esto passaggio;

  ché di giusto voler lo suo si face:
veramente da tre mesi elli ha tolto
chi ha voluto intrar, con tutta pace.

  Ond'io, ch'era ora a la marina vòlto
dove l'acqua di Tevero s'insala,
benignamente fu' da lui ricolto.

  A quella foce ha elli or dritta l'ala,
però che sempre quivi si ricoglie
qual verso Acheronte non si cala».

  E io: «Se nuova legge non ti toglie
memoria o uso a l'amoroso canto
che mi solea quetar tutte mie doglie,

  di ciò ti piaccia consolare alquanto
l'anima mia, che, con la sua persona
venendo qui, è affannata tanto!».

  'Amor che ne la mente mi ragiona'
cominciò elli allor sì dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro mi suona.

  Lo mio maestro e io e quella gente
ch'eran con lui parevan sì contenti,
come a nessun toccasse altro la mente.

  Noi eravam tutti fissi e attenti
a le sue note; ed ecco il veglio onesto
gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?

  qual negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio
ch'esser non lascia a voi Dio manifesto».

  Come quando, cogliendo biado o loglio,
li colombi adunati a la pastura,
queti, sanza mostrar l'usato orgoglio,

  se cosa appare ond'elli abbian paura,
subitamente lasciano star l'esca,
perch'assaliti son da maggior cura;

  così vid'io quella masnada fresca
lasciar lo canto, e fuggir ver' la costa,
com'om che va, né sa dove riesca:

  né la nostra partita fu men tosta.

venerdì 21 settembre 2012

La Guerra dei Draghi

Salve a tutti quelli a cui è piaciuto il mio blog, so che questo post nn è coerente con l'argomento del blog, ma vorrei chiedervi un favore, cliccate su questo link e create un personaggio, è molto divertente http://warofdragons.it/register.php?referrer=-Xena- e mi fareste davvero un grande favore.

Grazie a tutti e buon divertimento :-)

lunedì 26 marzo 2012

Canto I - Riassunto

Il Tempo:
è l'alba del 10 aprile (domenica di Pasqua) del 1300.
Il Luogo:
la spiaggia nell'Antipurgatorio
I Personaggi:
Dante e Virgilio incontrano Catone l'Uticense, custode del Purgatorio.

In Sintesi:
Manca poco all'alba quando Virgilio e Dante, emersi dalle viscere della Terra e provenienti dal fondo dell'abisso infernale, possono finalmente godere della purezza dell'aria serena e ammirare di nuovo il cielo stellato che già comincia a rischiarirsi. In esso spiccano per luminosità il pianeta Venere e una misteriosa costellazione di quattro stelle non visibile nel cielo del mondo abitato: Dante si trova infatti nell'emisfero meridionale del globo, sull'unica terra che emerge, ossia il monte del Purgatorio.
Improvvisamente, appare un vecchio dall'aspetto nobile e fiero il cui volto risplende per il riflesso delle quattro stelle che lo illuminano come farebbe il sole: è Catone, l'uomo politico dell'antica Roma che lottò contro Cesare in difesa della libertà e, piuttosto che cadere in mano al tiranno, si uccise in Utica. Egli chiede ai due pellegrini chi siano e come abbiano potuto sfuggire all'Inferno. Virgilio, dopo aver fatto inginocchiare Dante ai suoi piedi in segno di umiltà e rispetto, spiega le ragioni del viaggio; e, dopo aver ricordato a Catone sue moglie Marzia, che come lui si trova nel Limbo, chiede di poter entrare nel Purgatorio. Catone acconsente motivando il suo assenso con la sola necessità del volere celeste; ma prima consiglia a Virgilio di detergere con la rugiada il volto di Dante, sporco della caligine infernale, e di cingerlo con un giunco. I due pellegrini si avviano allora verso la spiaggia per compiere questi riti di purificazione. Intanto giunge l'alba a illuminare il mare che circonda l'isola su cui sorge il Purgatorio.

Canto I - Parafrasi

La navicella dei mio ingegno, che lascia dietro di sé un mare così tempestoso (l'inferno), si prepara a una materia più serena (il purgatorio); e canterò del secondo regno (dell'oltretomba) nel quale l'anima umana si purifica e diviene degna di salire al cielo. Ma qui la poesia, che ha avuto finora per argomento la morte spirituale (dei dannati), riviva (trattando della vita spirituale di coloro che raggiungeranno la beatitudine), o sante Muse, poiché a voi ho consacrato la mia vita; e a questo punto si levi più alta la voce di Calliope (la maggiore delle nove Muse, rìtenuta dagli antichi l'ispiratrice della poesia epica; il nome, etimologicamente, significa « dalla bella voce »), accompagnando il mio canto con quella melodia della quale le sciagurate figlie di Pierio, poi trasformate in gazze, avvertirono la superiorità a tal punto che disperarono di sottrarsi alla punizione che le attendeva. Un tenero colore di zaffiro orientale (la più pura e splendente fra le varie qualità di zaffiri, secondo quanto attestano i Lapidari medievalì), contenuto nella limpida atmosfera, pura fino al cerchio dell'orizzonte, procurò nuovamente gioia ai miei occhi, appena uscii dall'aria infernale, che aveva rattristato la mia vista e il mio animo. Venere, il bel pianeta che predispone all'amore, faceva gioire tutta la parte orientale del cielo, attenuando con la sua luce quella della costellazione dei Pesci, con la quale si trovava in congiunzione. Mi volsi a destra, e diressi la mia attenzione al polo australe, e vidi quattro stelle che soltanto i primi uomini (Adamo ed Eva) videro. Il cielo sembrava gioire delle loro luci intensissime: o luogo settentrionale spoglio, dal momento che ti è preclusa la possibilità di vederle! Appena mi fui distolto dal guardarle, volgendomi un poco verso il polo boreale. nel quale l'Orsa Maggiore non era più visibile, vidi vicino a me, solo, un vecchio, degno nell'aspetto di una riverenza tale, che nessun figlio è tenuto ad una riverenza maggiore verso suo padre. Portava la barba lunga e brizzolata, simile ai suoi capelli, dei quali due ciocche scendevano sul petto. A tal punto i raggi delle quattro stelle sante ornavano di luce il suo volto, che io lo vedevo (illuminato) come se davanti a lui ci fosse il sole. «Chi siete voi, che seguendo una direzione opposta a quella del fiume sotterraneo (il ruscelletto di cui al verso 130 dei canto XXXIV dell'Inferno) siete evasi dal carcere eterno (l'inferno)?» disse, muovendo la sua veneranda barba. « Chi vì ha fatto da guida ? o che cosa vi ha rischiarato il cammino, mentre uscivate dalle tenebre profonde che rendono sempre nera la voragine infernale? A tal punto sono violate le leggi dell'inferno ? o in cielo é stato fatto un nuovo decreto, per cui, pur essendo dannati, giungete alla montagna da me custodita ? » Virgilio allora mi afferrò,e mi fece inginocchiare e abbassare gli occhi in segno di riverenza, incitandomi a ciò con parole e con l'atto delle sue mani e con segni. Poi gli rispose: « Non sono arrivato di mia iniziativa: scese dal cielo una donna (Beatrice), grazie alle cui preghiere soccorsi costui con la mia compagnia. Ma poiché è tuo desiderio che la nostra condizione, quale essa è veramente, ti venga maggiormente chiarita, non può essere mio desiderio che questo (chiarimento) ti sia negato. Costui non vide mai la morte (Sia quella corporale che quella spirituale; non morì cioè e non è dannato); ma a causa dei suoi peccati fu così vicino alla morte spirituale, che pochissimo tempo sarebbe dovuto trascorrere (perché egli la vedesse). Come ti ho detto, fui inviato da lui per salvarlo; e non era possibile percorrere altra vìa che questa per la quale mi sono incamminato. Gli ho mostrato tutti i dannati; ed ora intendo mostrargli quelle anime che si purificano sotto la tua giurisdizione. Lungo sarebbe riferirti come l'ho portato fin qui: dal cielo scende una forza che mi aiuta a guidarlo per vederti e per ascoltarti. Voglia tu dunque considerare benevolmente il suo arrivo: egli va in cerca della libertà, che è tanto preziosa, come sa colui che per essa rifiuta di vivere. Tu lo sai, poiché in suo nome (per lei: la libertà) non fu per te dolorosa la morte a Utica, dove lasciasti il tuo corpo che il giorno della risurrezione dei morti risplenderà (con l'anima) di tanta gloria. Le leggi di Dio non sono state violate da noi; poiché costui è vivo, ed io non sono un dannato, assegnato a Minosse (e Minòs me non lega. la giurisdizione di Minosse inizia con il secondo cerchio dell'inferno; cfr. Inferno V, 4-15); ma provengo dal limbo, dove sono gli occhi pudichi della tua Marzia, che nel sembiante ancora ti prega, o animo venerabile, che tu la consideri tua: per l'amore che ella ti porta accondiscendi dunque alla nostra richiesta. Lasciaci andare per i sette gironi del tuo dominio (il purgatorio): riferirò a lei, nei tuoi riguardi, cose gradite, se hai piacere di essere nominato laggiù». « Marzia mi fu tanto cara (piacque tanto alli occhi miei) mentre fui in vita » disse Catone allora, « che le concessi tutte le cose a lei gradite e da lei desiderate. Ora che ella risiede al di là dell'Acheronte, non può più influire sul mio volere, in virtù di quella legge (che separa in modo netto gli spiriti dannati da quelli salvati) la quale fu stabilita quando uscii fuori dal limbo (insieme ai patriarchi dell'Antico Testamento; cfr., Inferno IV, versi 53-63). Ma se una beata ti incita ad andare e ti guida, come tu dici, non occorre che tu mi lusinghi: ti sia sufficiente rivolgermi la tua richiesta in nome suo. Dunque vai, e fa in modo di cingere costui di un giunco liscio e di lavargli il volto, in modo da cancellare da esso ogni sudiciume; poiché sarebbe disdicevole, con l'occhio offuscato da qualcosa di torbido, presentarsi davanti al primo esecutore dei decreti di Dio, che è un angelo (di quei di paradiso; si tratta dell'angelo posto a custodia della porta del purgatorio; cfr. Purgatorio canto IX, versi 78 sgg.). Questa piccola isola, nella sua parte più bassa, sulla spiaggia percossa dalle onde, è coperta tutt'intorno sull'umida sabbia da giunchi: nessun'altra pianta, di quelle che portano rami con foglie o diventano rigide, può vivervi, poiché non asseconda (flettendosi) i colpi (delle onde). Il vostro ritorno non avvenga poi da questa parte; il sole, che sta per sorgere, vi indicherà da che parte affrontare più agevolmente la salita del monte. » Ciò detto si dileguò; ed io mi levai in piedi senza parlare, e mi accostai con tutto il corpo a Virgilio, e rivolsi a lui lo sguardo. Egli cominciò a parlare: « Segui i miei passi: volgiamoci indietro, poiché da questa parte la pianura scende verso il suo orlo basso (la spiaggia) ». L'alba trionfava dell'ultima ora della notte (l'ora mattutina è l'ultima delle ore canoniche della notte), la quale le fuggiva dinanzi, in modo che da lontano distinsi il tremolio della luce sul mare. Noi avanzavamo nella pianura solitaria come colui che torna alla strada che ha smarrito, il quale ritiene che il suo cammino sia inutile finché non l'abbia ritrovata. Quando fummo là dove la rugiada resiste, opponendosi, al sole e, per il fatto di essere in una zona dove spira un venticello, evapora poco, Virgilio posò delicatamente entrambe le mani aperte sulla tenera erba: per cui io, che compresi lo scopo del suo gesto, gli porsi le guance bagnate di lagrime: su di esse egli fece riapparire interamente quel colore (il mio colorito naturale) che l'inferno aveva occultato (con la sua caligine). Giungemmo quindi sulla spiaggia deserta, che mai vide solcate le sue acque da qualcuno che sia poi riuscito a tornare indietro (Ulisse infatti, giunto in vista della montagna del purgatorio, naufragò). Qui mi cinse come Catone aveva voluto: o meraviglia! infatti l'umile giunco ricrebbe tale quale egli l'aveva scelto (cioè schietto, liscio) immediatamente, nel punto in cui l'aveva strappato.

Canto I - Introduzione

La lettura del primo canto del Purgatorio segue, lungo l'arco della critica dantesca, un'oscillazione tra due poli: il polo della ricerca che il Croce avrebbe definito strutturale, attenta ad una esposizione problematica di tutte le implicanze storiche, mitiche e teologiche e il polo dell'esegesi attenta a definire il significato ritualistico e l'intelaiatura liturgica che sorregge tutto il canto. E due sono stati i motivi attorno a cui la critica ha sovrapposto strati di ricerche e di interpretazioni: il personaggio di Catone, osservato in rapporto al concetto di libertà e al concetto di salvezza e il rito finale della purificazione, celebrato in sul lito diserto. Questa analisi ci porta ad accostare ancora una volta il problema dell'allegoria in Dante e in un canto la cui struttura è tutta emblematica e che, sotto questo punto di vista, si offre efficace paradigma di tutta la seconda cantica. È stato giustamente osservato che anche gli interpreti più convinti della non poeticità dell'allegoria ammettono che nel primo canto "il simbolo è del tutto disciolto nella rappresentazione" (Bigi): la figura di Catone esprime la riconquista della libertà dopo l'esperienza del male, ogni gesto di Virgilio è un'officiatura liturgica nella riconsacrazione del suo discepolo al bene, il personaggio Dante appare nello stato del catecumeno che comincia il suo ciclo di iniziazione- purificatrice. Su questi tre perni poggia la vicenda dell'anima nel momento in cui si avvia verso la penitenza e la redenzione, attraverso - secondo la distinzione del Bigi - "tre fasi successive: quella in cui l'anima si abbandona con immediato senso di benessere alla sua nuova condizione; il sopraggiungere della consapevolezza delle responsabilità e dei doveri che tale condizione comporta; e infine, raggiunta questa consapevolezza, l'inizio, ansioso e raccolto, della penitenza". È un momento ancora drammatico, a torto dimenticato da molti critici che, sottolineando troppo l'atmosfera dolce e serena della spiaggia del purgatorio - atmosfera del resto necessaria perché il senso del divino si distenda "con un'intima potenza affinante e pacificatrice" (Malagoli) - dimenticano che "questo aprirsi dell'anima è strettamente avvinto al sentimento infernale: là è la sua humus" (Malagoli), non avvertendosi affatto "una diminuzione di tensione rispetto all'Inferno, quanto piuttosto una diversa tensione, meno disperata e convulsa e più controllata e solenne, ma pure anch'essa potentemente drammatica" (Bigi). Noi andavam per lo solingo piano non indica, come vorrebbero alcuni critici, il tranquillo procedere dei due pellegrini, ma la fuga da un incubo, (per l'Apollonio anzi questo motivo continua in tutta la seconda cantica: "se l'Inferno è l'ipostasi della città degli uomini, il Purgatorio è il viaggio da quella città, l'esilio alla ricerca di una più vera patria, la fuga, anche da una minaccia bestiale e paurosa... di non so che malvagio uccello") che si compone infine in due gesti semplici e armoniosi, che sembrano seguire il ritmo prestabilito di una cerimonia liturgica. Per il cristiano e per l'uomo medievale in particolare, erede diretto di tutta la letteratura patristica, che faceva della liturgia la sua matrice - rientrare nella Grazia significa rientrare nella vita liturgica - che della Grazia è l'espressione sensibile - cioè nella vita comunitaria della Chiesa: e non è fuori luogo ricordare che nel Purgatorio l'esistenza, delle anime e delle cose, è corale e concorde. La recente lettura di Ezio Raimondi, perseguita con solidità di impianto critico e con finezza di proposte interpretative, segue, lungo tutto il canto, l'intreccio tra rito e storia alla ricerca d'una convergenza di significati, di ricordi, di miti, di simboli vitali in ciascuna delle immagini del canto, da quella della navicella alla descrizione dell'umile pianta, di cui Dante é cinto da Virgilio. Dopo l'esordio, che segue le leggi retoriche delle artes dictandi, il tema sembra essere quello stesso di tutta la cantica, cioè l'antitesi morte-risurrezione, male-libertà, peccato-ritorno a Dio. Attorno a questo fulcro dimostrativo si raccolgono immagini ricche di risonanze classiche, bibliche, liturgiche e patristiche, ma tutte inscritte in una tensione verso il ritorno all'innocenza perduta, verso la purificazione totale. In effetti si può affermare, col Raimondi, che "con quel gioco multiplo di suggerimenti e di registri che fa del simbolismo dantesco una invenzione geniale, il discorso del Poeta corre su due piani, l'uno retorico e l'altro, se si passa il termine, esistenziale". Ancora una volta "l'interpretazione allegorica con cui la spiritualità medievale intende i fatti della cultura e gli aspetti del mondo e le vicende della vita, é un modo di pensare e di sentire: non si frappone tra l'intelletto e le cose, tra l'anima e i suoi movimenti, ma, anzi, ne agevola il contatto e la comprensione, ne suggerisce le vie per il possesso e l'unità" (Battaglia). La poetica del trascendente, intesa come ricerca e conquista dei supremi valori spirituali, ha avuto inizio e Dante vi si consacra separando per un attimo il poeta (l'invocazione alle Muse), smarrito di fronte alla difficoltà della a "visione", dall'uomo-personaggio, smarrito di fronte alla difficoltà dell'ascesa, ma legando inscindibilmente i due momenti, perché dal tema iniziale del "resurgere" (ma qui la morta poesì resurga) al rito lustrale della fine, il motivo unitario é la riconquistata libertà attraverso l'umiltà e in virtù della purificazione. E sono proprio Catone, l'eroe mitizzato perché magnanimo, e Virgilio, il poeta vate e guida, a fare da ministri al rito : segno d'una rottura, attraverso la Grazia, del rapporto tra gloria ed umiltà: "l'umiltà non contraddice più, ora, alla magnanimità" (Raimondi). L'umile pianta, divelta per cingere il Poeta, rinasce preludio alla totale rinascita spirituale che Dante avvertirà alla fine del purgatorio, quando si sentirà rifatto si come piante novelle rinnovellate di novella fronda.

Canto I - Sulla Spiaggia del Purgatorio: Catone

  Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele;

  e canterò di quel secondo regno
dove l'umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.

  Ma qui la morta poesì resurga,
o sante Muse, poi che vostro sono;
e qui Caliopè alquanto surga,

  seguitando il mio canto con quel suono
di cui le Piche misere sentiro
lo colpo tal, che disperar perdono.

  Dolce color d'oriental zaffiro,
che s'accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro,

  a li occhi miei ricominciò diletto,
tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta
che m'avea contristati li occhi e 'l petto.

  Lo bel pianeto che d'amar conforta
faceva tutto rider l'oriente,
velando i Pesci ch'erano in sua scorta.

  I' mi volsi a man destra, e puosi mente
a l'altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch'a la prima gente.

  Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:
oh settentrional vedovo sito,
poi che privato se' di mirar quelle!

  Com'io da loro sguardo fui partito,
un poco me volgendo a l 'altro polo,
là onde il Carro già era sparito,

  vidi presso di me un veglio solo,
degno di tanta reverenza in vista,
che più non dee a padre alcun figliuolo.

  Lunga la barba e di pel bianco mista
portava, a' suoi capelli simigliante,
de' quai cadeva al petto doppia lista.

  Li raggi de le quattro luci sante
fregiavan sì la sua faccia di lume,
ch'i' 'l vedea come 'l sol fosse davante.

  «Chi siete voi che contro al cieco fiume
fuggita avete la pregione etterna?»,
diss'el, movendo quelle oneste piume.

  «Chi v'ha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de la profonda notte
che sempre nera fa la valle inferna?

  Son le leggi d'abisso così rotte?
o è mutato in ciel novo consiglio,
che, dannati, venite a le mie grotte?».

  Lo duca mio allor mi diè di piglio,
e con parole e con mani e con cenni
reverenti mi fé le gambe e 'l ciglio.

  Poscia rispuose lui: «Da me non venni:
donna scese del ciel, per li cui prieghi
de la mia compagnia costui sovvenni.

  Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi
di nostra condizion com'ell'è vera,
esser non puote il mio che a te si nieghi.

  Questi non vide mai l'ultima sera;
ma per la sua follia le fu sì presso,
che molto poco tempo a volger era.

  Sì com'io dissi, fui mandato ad esso
per lui campare; e non lì era altra via
che questa per la quale i' mi son messo.

  Mostrata ho lui tutta la gente ria;
e ora intendo mostrar quelli spirti
che purgan sé sotto la tua balìa.

  Com'io l'ho tratto, saria lungo a dirti;
de l'alto scende virtù che m'aiuta
conducerlo a vederti e a udirti.

  Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch'è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.

  Tu 'l sai, ché non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch'al gran dì sarà sì chiara.

  Non son li editti etterni per noi guasti,
ché questi vive, e Minòs me non lega;
ma son del cerchio ove son li occhi casti

  di Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega,
o santo petto, che per tua la tegni:
per lo suo amore adunque a noi ti piega.

  Lasciane andar per li tuoi sette regni;
grazie riporterò di te a lei,
se d'esser mentovato là giù degni».

  «Marzia piacque tanto a li occhi miei
mentre ch'i' fu' di là», diss'elli allora,
«che quante grazie volse da me, fei.

  Or che di là dal mal fiume dimora,
più muover non mi può, per quella legge
che fatta fu quando me n'usci' fora.

  Ma se donna del ciel ti muove e regge,
come tu di' , non c'è mestier lusinghe:
bastisi ben che per lei mi richegge.

  Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
d'un giunco schietto e che li lavi 'l viso,
sì ch'ogne sucidume quindi stinghe;

  ché non si converria, l'occhio sorpriso
d'alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
ministro, ch'è di quei di paradiso.

  Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
là giù colà dove la batte l'onda,
porta di giunchi sovra 'l molle limo;

  null'altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
però ch'a le percosse non seconda.

  Poscia non sia di qua vostra reddita;
lo sol vi mosterrà, che surge omai,
prendere il monte a più lieve salita».

  Così sparì; e io sù mi levai
sanza parlare, e tutto mi ritrassi
al duca mio, e li occhi a lui drizzai.

  El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi:
volgianci in dietro, ché di qua dichina
questa pianura a' suoi termini bassi».

  L'alba vinceva l'ora mattutina
che fuggia innanzi, sì che di lontano
conobbi il tremolar de la marina.

  Noi andavam per lo solingo piano
com'om che torna a la perduta strada,
che 'nfino ad essa li pare ire in vano.

  Quando noi fummo là 've la rugiada
pugna col sole, per essere in parte
dove, ad orezza, poco si dirada,

  ambo le mani in su l'erbetta sparte
soavemente 'l mio maestro pose:
ond'io, che fui accorto di sua arte,

  porsi ver' lui le guance lagrimose:
ivi mi fece tutto discoverto
quel color che l'inferno mi nascose.

  Venimmo poi in sul lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
omo, che di tornar sia poscia esperto.

  Quivi mi cinse sì com'altrui piacque:
oh maraviglia! ché qual elli scelse
l'umile pianta, cotal si rinacque

  subitamente là onde l'avelse.