lunedì 26 marzo 2012

Canto I - Riassunto

Il Tempo:
è l'alba del 10 aprile (domenica di Pasqua) del 1300.
Il Luogo:
la spiaggia nell'Antipurgatorio
I Personaggi:
Dante e Virgilio incontrano Catone l'Uticense, custode del Purgatorio.

In Sintesi:
Manca poco all'alba quando Virgilio e Dante, emersi dalle viscere della Terra e provenienti dal fondo dell'abisso infernale, possono finalmente godere della purezza dell'aria serena e ammirare di nuovo il cielo stellato che già comincia a rischiarirsi. In esso spiccano per luminosità il pianeta Venere e una misteriosa costellazione di quattro stelle non visibile nel cielo del mondo abitato: Dante si trova infatti nell'emisfero meridionale del globo, sull'unica terra che emerge, ossia il monte del Purgatorio.
Improvvisamente, appare un vecchio dall'aspetto nobile e fiero il cui volto risplende per il riflesso delle quattro stelle che lo illuminano come farebbe il sole: è Catone, l'uomo politico dell'antica Roma che lottò contro Cesare in difesa della libertà e, piuttosto che cadere in mano al tiranno, si uccise in Utica. Egli chiede ai due pellegrini chi siano e come abbiano potuto sfuggire all'Inferno. Virgilio, dopo aver fatto inginocchiare Dante ai suoi piedi in segno di umiltà e rispetto, spiega le ragioni del viaggio; e, dopo aver ricordato a Catone sue moglie Marzia, che come lui si trova nel Limbo, chiede di poter entrare nel Purgatorio. Catone acconsente motivando il suo assenso con la sola necessità del volere celeste; ma prima consiglia a Virgilio di detergere con la rugiada il volto di Dante, sporco della caligine infernale, e di cingerlo con un giunco. I due pellegrini si avviano allora verso la spiaggia per compiere questi riti di purificazione. Intanto giunge l'alba a illuminare il mare che circonda l'isola su cui sorge il Purgatorio.

Canto I - Parafrasi

La navicella dei mio ingegno, che lascia dietro di sé un mare così tempestoso (l'inferno), si prepara a una materia più serena (il purgatorio); e canterò del secondo regno (dell'oltretomba) nel quale l'anima umana si purifica e diviene degna di salire al cielo. Ma qui la poesia, che ha avuto finora per argomento la morte spirituale (dei dannati), riviva (trattando della vita spirituale di coloro che raggiungeranno la beatitudine), o sante Muse, poiché a voi ho consacrato la mia vita; e a questo punto si levi più alta la voce di Calliope (la maggiore delle nove Muse, rìtenuta dagli antichi l'ispiratrice della poesia epica; il nome, etimologicamente, significa « dalla bella voce »), accompagnando il mio canto con quella melodia della quale le sciagurate figlie di Pierio, poi trasformate in gazze, avvertirono la superiorità a tal punto che disperarono di sottrarsi alla punizione che le attendeva. Un tenero colore di zaffiro orientale (la più pura e splendente fra le varie qualità di zaffiri, secondo quanto attestano i Lapidari medievalì), contenuto nella limpida atmosfera, pura fino al cerchio dell'orizzonte, procurò nuovamente gioia ai miei occhi, appena uscii dall'aria infernale, che aveva rattristato la mia vista e il mio animo. Venere, il bel pianeta che predispone all'amore, faceva gioire tutta la parte orientale del cielo, attenuando con la sua luce quella della costellazione dei Pesci, con la quale si trovava in congiunzione. Mi volsi a destra, e diressi la mia attenzione al polo australe, e vidi quattro stelle che soltanto i primi uomini (Adamo ed Eva) videro. Il cielo sembrava gioire delle loro luci intensissime: o luogo settentrionale spoglio, dal momento che ti è preclusa la possibilità di vederle! Appena mi fui distolto dal guardarle, volgendomi un poco verso il polo boreale. nel quale l'Orsa Maggiore non era più visibile, vidi vicino a me, solo, un vecchio, degno nell'aspetto di una riverenza tale, che nessun figlio è tenuto ad una riverenza maggiore verso suo padre. Portava la barba lunga e brizzolata, simile ai suoi capelli, dei quali due ciocche scendevano sul petto. A tal punto i raggi delle quattro stelle sante ornavano di luce il suo volto, che io lo vedevo (illuminato) come se davanti a lui ci fosse il sole. «Chi siete voi, che seguendo una direzione opposta a quella del fiume sotterraneo (il ruscelletto di cui al verso 130 dei canto XXXIV dell'Inferno) siete evasi dal carcere eterno (l'inferno)?» disse, muovendo la sua veneranda barba. « Chi vì ha fatto da guida ? o che cosa vi ha rischiarato il cammino, mentre uscivate dalle tenebre profonde che rendono sempre nera la voragine infernale? A tal punto sono violate le leggi dell'inferno ? o in cielo é stato fatto un nuovo decreto, per cui, pur essendo dannati, giungete alla montagna da me custodita ? » Virgilio allora mi afferrò,e mi fece inginocchiare e abbassare gli occhi in segno di riverenza, incitandomi a ciò con parole e con l'atto delle sue mani e con segni. Poi gli rispose: « Non sono arrivato di mia iniziativa: scese dal cielo una donna (Beatrice), grazie alle cui preghiere soccorsi costui con la mia compagnia. Ma poiché è tuo desiderio che la nostra condizione, quale essa è veramente, ti venga maggiormente chiarita, non può essere mio desiderio che questo (chiarimento) ti sia negato. Costui non vide mai la morte (Sia quella corporale che quella spirituale; non morì cioè e non è dannato); ma a causa dei suoi peccati fu così vicino alla morte spirituale, che pochissimo tempo sarebbe dovuto trascorrere (perché egli la vedesse). Come ti ho detto, fui inviato da lui per salvarlo; e non era possibile percorrere altra vìa che questa per la quale mi sono incamminato. Gli ho mostrato tutti i dannati; ed ora intendo mostrargli quelle anime che si purificano sotto la tua giurisdizione. Lungo sarebbe riferirti come l'ho portato fin qui: dal cielo scende una forza che mi aiuta a guidarlo per vederti e per ascoltarti. Voglia tu dunque considerare benevolmente il suo arrivo: egli va in cerca della libertà, che è tanto preziosa, come sa colui che per essa rifiuta di vivere. Tu lo sai, poiché in suo nome (per lei: la libertà) non fu per te dolorosa la morte a Utica, dove lasciasti il tuo corpo che il giorno della risurrezione dei morti risplenderà (con l'anima) di tanta gloria. Le leggi di Dio non sono state violate da noi; poiché costui è vivo, ed io non sono un dannato, assegnato a Minosse (e Minòs me non lega. la giurisdizione di Minosse inizia con il secondo cerchio dell'inferno; cfr. Inferno V, 4-15); ma provengo dal limbo, dove sono gli occhi pudichi della tua Marzia, che nel sembiante ancora ti prega, o animo venerabile, che tu la consideri tua: per l'amore che ella ti porta accondiscendi dunque alla nostra richiesta. Lasciaci andare per i sette gironi del tuo dominio (il purgatorio): riferirò a lei, nei tuoi riguardi, cose gradite, se hai piacere di essere nominato laggiù». « Marzia mi fu tanto cara (piacque tanto alli occhi miei) mentre fui in vita » disse Catone allora, « che le concessi tutte le cose a lei gradite e da lei desiderate. Ora che ella risiede al di là dell'Acheronte, non può più influire sul mio volere, in virtù di quella legge (che separa in modo netto gli spiriti dannati da quelli salvati) la quale fu stabilita quando uscii fuori dal limbo (insieme ai patriarchi dell'Antico Testamento; cfr., Inferno IV, versi 53-63). Ma se una beata ti incita ad andare e ti guida, come tu dici, non occorre che tu mi lusinghi: ti sia sufficiente rivolgermi la tua richiesta in nome suo. Dunque vai, e fa in modo di cingere costui di un giunco liscio e di lavargli il volto, in modo da cancellare da esso ogni sudiciume; poiché sarebbe disdicevole, con l'occhio offuscato da qualcosa di torbido, presentarsi davanti al primo esecutore dei decreti di Dio, che è un angelo (di quei di paradiso; si tratta dell'angelo posto a custodia della porta del purgatorio; cfr. Purgatorio canto IX, versi 78 sgg.). Questa piccola isola, nella sua parte più bassa, sulla spiaggia percossa dalle onde, è coperta tutt'intorno sull'umida sabbia da giunchi: nessun'altra pianta, di quelle che portano rami con foglie o diventano rigide, può vivervi, poiché non asseconda (flettendosi) i colpi (delle onde). Il vostro ritorno non avvenga poi da questa parte; il sole, che sta per sorgere, vi indicherà da che parte affrontare più agevolmente la salita del monte. » Ciò detto si dileguò; ed io mi levai in piedi senza parlare, e mi accostai con tutto il corpo a Virgilio, e rivolsi a lui lo sguardo. Egli cominciò a parlare: « Segui i miei passi: volgiamoci indietro, poiché da questa parte la pianura scende verso il suo orlo basso (la spiaggia) ». L'alba trionfava dell'ultima ora della notte (l'ora mattutina è l'ultima delle ore canoniche della notte), la quale le fuggiva dinanzi, in modo che da lontano distinsi il tremolio della luce sul mare. Noi avanzavamo nella pianura solitaria come colui che torna alla strada che ha smarrito, il quale ritiene che il suo cammino sia inutile finché non l'abbia ritrovata. Quando fummo là dove la rugiada resiste, opponendosi, al sole e, per il fatto di essere in una zona dove spira un venticello, evapora poco, Virgilio posò delicatamente entrambe le mani aperte sulla tenera erba: per cui io, che compresi lo scopo del suo gesto, gli porsi le guance bagnate di lagrime: su di esse egli fece riapparire interamente quel colore (il mio colorito naturale) che l'inferno aveva occultato (con la sua caligine). Giungemmo quindi sulla spiaggia deserta, che mai vide solcate le sue acque da qualcuno che sia poi riuscito a tornare indietro (Ulisse infatti, giunto in vista della montagna del purgatorio, naufragò). Qui mi cinse come Catone aveva voluto: o meraviglia! infatti l'umile giunco ricrebbe tale quale egli l'aveva scelto (cioè schietto, liscio) immediatamente, nel punto in cui l'aveva strappato.

Canto I - Introduzione

La lettura del primo canto del Purgatorio segue, lungo l'arco della critica dantesca, un'oscillazione tra due poli: il polo della ricerca che il Croce avrebbe definito strutturale, attenta ad una esposizione problematica di tutte le implicanze storiche, mitiche e teologiche e il polo dell'esegesi attenta a definire il significato ritualistico e l'intelaiatura liturgica che sorregge tutto il canto. E due sono stati i motivi attorno a cui la critica ha sovrapposto strati di ricerche e di interpretazioni: il personaggio di Catone, osservato in rapporto al concetto di libertà e al concetto di salvezza e il rito finale della purificazione, celebrato in sul lito diserto. Questa analisi ci porta ad accostare ancora una volta il problema dell'allegoria in Dante e in un canto la cui struttura è tutta emblematica e che, sotto questo punto di vista, si offre efficace paradigma di tutta la seconda cantica. È stato giustamente osservato che anche gli interpreti più convinti della non poeticità dell'allegoria ammettono che nel primo canto "il simbolo è del tutto disciolto nella rappresentazione" (Bigi): la figura di Catone esprime la riconquista della libertà dopo l'esperienza del male, ogni gesto di Virgilio è un'officiatura liturgica nella riconsacrazione del suo discepolo al bene, il personaggio Dante appare nello stato del catecumeno che comincia il suo ciclo di iniziazione- purificatrice. Su questi tre perni poggia la vicenda dell'anima nel momento in cui si avvia verso la penitenza e la redenzione, attraverso - secondo la distinzione del Bigi - "tre fasi successive: quella in cui l'anima si abbandona con immediato senso di benessere alla sua nuova condizione; il sopraggiungere della consapevolezza delle responsabilità e dei doveri che tale condizione comporta; e infine, raggiunta questa consapevolezza, l'inizio, ansioso e raccolto, della penitenza". È un momento ancora drammatico, a torto dimenticato da molti critici che, sottolineando troppo l'atmosfera dolce e serena della spiaggia del purgatorio - atmosfera del resto necessaria perché il senso del divino si distenda "con un'intima potenza affinante e pacificatrice" (Malagoli) - dimenticano che "questo aprirsi dell'anima è strettamente avvinto al sentimento infernale: là è la sua humus" (Malagoli), non avvertendosi affatto "una diminuzione di tensione rispetto all'Inferno, quanto piuttosto una diversa tensione, meno disperata e convulsa e più controllata e solenne, ma pure anch'essa potentemente drammatica" (Bigi). Noi andavam per lo solingo piano non indica, come vorrebbero alcuni critici, il tranquillo procedere dei due pellegrini, ma la fuga da un incubo, (per l'Apollonio anzi questo motivo continua in tutta la seconda cantica: "se l'Inferno è l'ipostasi della città degli uomini, il Purgatorio è il viaggio da quella città, l'esilio alla ricerca di una più vera patria, la fuga, anche da una minaccia bestiale e paurosa... di non so che malvagio uccello") che si compone infine in due gesti semplici e armoniosi, che sembrano seguire il ritmo prestabilito di una cerimonia liturgica. Per il cristiano e per l'uomo medievale in particolare, erede diretto di tutta la letteratura patristica, che faceva della liturgia la sua matrice - rientrare nella Grazia significa rientrare nella vita liturgica - che della Grazia è l'espressione sensibile - cioè nella vita comunitaria della Chiesa: e non è fuori luogo ricordare che nel Purgatorio l'esistenza, delle anime e delle cose, è corale e concorde. La recente lettura di Ezio Raimondi, perseguita con solidità di impianto critico e con finezza di proposte interpretative, segue, lungo tutto il canto, l'intreccio tra rito e storia alla ricerca d'una convergenza di significati, di ricordi, di miti, di simboli vitali in ciascuna delle immagini del canto, da quella della navicella alla descrizione dell'umile pianta, di cui Dante é cinto da Virgilio. Dopo l'esordio, che segue le leggi retoriche delle artes dictandi, il tema sembra essere quello stesso di tutta la cantica, cioè l'antitesi morte-risurrezione, male-libertà, peccato-ritorno a Dio. Attorno a questo fulcro dimostrativo si raccolgono immagini ricche di risonanze classiche, bibliche, liturgiche e patristiche, ma tutte inscritte in una tensione verso il ritorno all'innocenza perduta, verso la purificazione totale. In effetti si può affermare, col Raimondi, che "con quel gioco multiplo di suggerimenti e di registri che fa del simbolismo dantesco una invenzione geniale, il discorso del Poeta corre su due piani, l'uno retorico e l'altro, se si passa il termine, esistenziale". Ancora una volta "l'interpretazione allegorica con cui la spiritualità medievale intende i fatti della cultura e gli aspetti del mondo e le vicende della vita, é un modo di pensare e di sentire: non si frappone tra l'intelletto e le cose, tra l'anima e i suoi movimenti, ma, anzi, ne agevola il contatto e la comprensione, ne suggerisce le vie per il possesso e l'unità" (Battaglia). La poetica del trascendente, intesa come ricerca e conquista dei supremi valori spirituali, ha avuto inizio e Dante vi si consacra separando per un attimo il poeta (l'invocazione alle Muse), smarrito di fronte alla difficoltà della a "visione", dall'uomo-personaggio, smarrito di fronte alla difficoltà dell'ascesa, ma legando inscindibilmente i due momenti, perché dal tema iniziale del "resurgere" (ma qui la morta poesì resurga) al rito lustrale della fine, il motivo unitario é la riconquistata libertà attraverso l'umiltà e in virtù della purificazione. E sono proprio Catone, l'eroe mitizzato perché magnanimo, e Virgilio, il poeta vate e guida, a fare da ministri al rito : segno d'una rottura, attraverso la Grazia, del rapporto tra gloria ed umiltà: "l'umiltà non contraddice più, ora, alla magnanimità" (Raimondi). L'umile pianta, divelta per cingere il Poeta, rinasce preludio alla totale rinascita spirituale che Dante avvertirà alla fine del purgatorio, quando si sentirà rifatto si come piante novelle rinnovellate di novella fronda.

Canto I - Sulla Spiaggia del Purgatorio: Catone

  Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele;

  e canterò di quel secondo regno
dove l'umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.

  Ma qui la morta poesì resurga,
o sante Muse, poi che vostro sono;
e qui Caliopè alquanto surga,

  seguitando il mio canto con quel suono
di cui le Piche misere sentiro
lo colpo tal, che disperar perdono.

  Dolce color d'oriental zaffiro,
che s'accoglieva nel sereno aspetto
del mezzo, puro infino al primo giro,

  a li occhi miei ricominciò diletto,
tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta
che m'avea contristati li occhi e 'l petto.

  Lo bel pianeto che d'amar conforta
faceva tutto rider l'oriente,
velando i Pesci ch'erano in sua scorta.

  I' mi volsi a man destra, e puosi mente
a l'altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch'a la prima gente.

  Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:
oh settentrional vedovo sito,
poi che privato se' di mirar quelle!

  Com'io da loro sguardo fui partito,
un poco me volgendo a l 'altro polo,
là onde il Carro già era sparito,

  vidi presso di me un veglio solo,
degno di tanta reverenza in vista,
che più non dee a padre alcun figliuolo.

  Lunga la barba e di pel bianco mista
portava, a' suoi capelli simigliante,
de' quai cadeva al petto doppia lista.

  Li raggi de le quattro luci sante
fregiavan sì la sua faccia di lume,
ch'i' 'l vedea come 'l sol fosse davante.

  «Chi siete voi che contro al cieco fiume
fuggita avete la pregione etterna?»,
diss'el, movendo quelle oneste piume.

  «Chi v'ha guidati, o che vi fu lucerna,
uscendo fuor de la profonda notte
che sempre nera fa la valle inferna?

  Son le leggi d'abisso così rotte?
o è mutato in ciel novo consiglio,
che, dannati, venite a le mie grotte?».

  Lo duca mio allor mi diè di piglio,
e con parole e con mani e con cenni
reverenti mi fé le gambe e 'l ciglio.

  Poscia rispuose lui: «Da me non venni:
donna scese del ciel, per li cui prieghi
de la mia compagnia costui sovvenni.

  Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi
di nostra condizion com'ell'è vera,
esser non puote il mio che a te si nieghi.

  Questi non vide mai l'ultima sera;
ma per la sua follia le fu sì presso,
che molto poco tempo a volger era.

  Sì com'io dissi, fui mandato ad esso
per lui campare; e non lì era altra via
che questa per la quale i' mi son messo.

  Mostrata ho lui tutta la gente ria;
e ora intendo mostrar quelli spirti
che purgan sé sotto la tua balìa.

  Com'io l'ho tratto, saria lungo a dirti;
de l'alto scende virtù che m'aiuta
conducerlo a vederti e a udirti.

  Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch'è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.

  Tu 'l sai, ché non ti fu per lei amara
in Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch'al gran dì sarà sì chiara.

  Non son li editti etterni per noi guasti,
ché questi vive, e Minòs me non lega;
ma son del cerchio ove son li occhi casti

  di Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega,
o santo petto, che per tua la tegni:
per lo suo amore adunque a noi ti piega.

  Lasciane andar per li tuoi sette regni;
grazie riporterò di te a lei,
se d'esser mentovato là giù degni».

  «Marzia piacque tanto a li occhi miei
mentre ch'i' fu' di là», diss'elli allora,
«che quante grazie volse da me, fei.

  Or che di là dal mal fiume dimora,
più muover non mi può, per quella legge
che fatta fu quando me n'usci' fora.

  Ma se donna del ciel ti muove e regge,
come tu di' , non c'è mestier lusinghe:
bastisi ben che per lei mi richegge.

  Va dunque, e fa che tu costui ricinghe
d'un giunco schietto e che li lavi 'l viso,
sì ch'ogne sucidume quindi stinghe;

  ché non si converria, l'occhio sorpriso
d'alcuna nebbia, andar dinanzi al primo
ministro, ch'è di quei di paradiso.

  Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
là giù colà dove la batte l'onda,
porta di giunchi sovra 'l molle limo;

  null'altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
però ch'a le percosse non seconda.

  Poscia non sia di qua vostra reddita;
lo sol vi mosterrà, che surge omai,
prendere il monte a più lieve salita».

  Così sparì; e io sù mi levai
sanza parlare, e tutto mi ritrassi
al duca mio, e li occhi a lui drizzai.

  El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi:
volgianci in dietro, ché di qua dichina
questa pianura a' suoi termini bassi».

  L'alba vinceva l'ora mattutina
che fuggia innanzi, sì che di lontano
conobbi il tremolar de la marina.

  Noi andavam per lo solingo piano
com'om che torna a la perduta strada,
che 'nfino ad essa li pare ire in vano.

  Quando noi fummo là 've la rugiada
pugna col sole, per essere in parte
dove, ad orezza, poco si dirada,

  ambo le mani in su l'erbetta sparte
soavemente 'l mio maestro pose:
ond'io, che fui accorto di sua arte,

  porsi ver' lui le guance lagrimose:
ivi mi fece tutto discoverto
quel color che l'inferno mi nascose.

  Venimmo poi in sul lito diserto,
che mai non vide navicar sue acque
omo, che di tornar sia poscia esperto.

  Quivi mi cinse sì com'altrui piacque:
oh maraviglia! ché qual elli scelse
l'umile pianta, cotal si rinacque

  subitamente là onde l'avelse.